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Sta per prendere il "via" il progetto Freeweed, "per l'abrograzione di alcuni articoli contenuti nella legge Fini-Giovanardi e per la legalizzazione della Cannabis"

Il Progetto Referendario
A breve la costituzione del Comitato e la pubblicazione del Quesito Referendario!
  
Cosa vuole Ottenere?
L’esercizio della Volontà popolare sul tema Cannabis. Togliere l’arresto per piccoli coltivatori e per i consumatori, alleviare le pene amministrative, distinguere le sostanze tra droghe leggere e pesanti, dividendo la Cannabis dalle Droghe veramente pericolose.

Come lo vogliamo ottenere?

Attraverso una campagna di informazione sulla sostanza Cannabis, sulla Pianta Cannabis, sulla Medicina Cannabis, sugli Effetti Terapeutici, Ludici e Psicologici della Cannabis. Attueremo nell’Ottobre 2013 una Raccolta Firme denominata Progetto FreeWeed per poter proporre nel 2014/2015 un Referendum per abrogare alcune norme della Legge Fini-Giovanardi, consapevoli che il Referendum potrà abrogare solo parziali punti di una legge e non l’intera legge. La Proposta Referendaria verrà ultimata e sottoposta a tutte le procedure di controllo Legale per renderla Inattaccabile e Costituzionalmente accettabile. Raggiunta la Soglia MINIMA di 500.000 firme (ne raccoglieremo 600.000 per paura dell’invalidabilità di alcune di esse, come negli scorsi anni già accaduto) esse verranno sottoposte alla Corte di Cassazione che fisserà la data del Referendum tra l’Aprile e il Maggio dell’anno successivo (quindi 2014/2015). Al Referendum bisognerà votare l’abrogazione di parti di una legge e quindi si voterà “SI”. Per far si che il Referendum sia VALIDO e VALIDABILE bisognerà superare il Quorum del 50% + 1. (Ossia dovranno votare ALMENO metà delle persone che avranno diritto al voto in Italia(residenti anche all’estero) più UNA). PRESO il Quorum se i SI supereranno i NO allora la VOTAZIONE si potrà considerare VINTA.


La Cannabis diventerà Legale immediatamente?
Premesso che sarà una battaglia durissima, perché c’è da superare il quorum ossia raggiungere il 50% + 1 dei votanti che si esprimano (con un si o con un no) per l’abrogazione delle normative contenute nella Fini-Giovanardi, una volta completati i passaggi descritti le normative sono immediatamente abrogate e la legge viene demolita lasciando piena facoltà alle persone di poter utilizzare le sostanze che ritiene opportuno. Il Parlamento a quel punto dovrà regolamentare la materia con una nuova legge tenendo conto della volontà popolare espressa. Proprio per questo motivo stiamo valutando se affiancare alla Raccolta firme pro-referendum anche una raccolta firme per legge di iniziativa popolare, per evitare che la “Vacatio Legis” (mancanza di una legge) fermi il processo di applicazione del risultato referendario.

Vinto il Referendum come Verrà Garantita la sua Applicazione Effettiva?
È compito di tutti i cittadini vigilare che il Parlamento legiferi in seguito tenendo conto dell’esito del referendum. Ovviamente FreeWeed Board e tutti i suoi componenti e sostenitori si batteranno per sostenere l’immediata applicazione del risultato Referendario.

Come verranno gestiti i Rimborsi in caso di Quorum superato nel Referendum?
I Rimborsi Referendari (pari a circa 0,39 centesimi a Firma Raccolta, ed erogabili solo a Quorum preso al momento del Referendum) si potranno richiedere (se si riuscirà ovviamente) intanto per RESTITUIRE LE SPESE FATTE E SEGNATE da chi ORGANIZZERA’ IL REFERENDUM E LA RACCOLTA FIRME. Tutto verrà segnato in una lista online. Niente verrà sottratto e i soldi IN ECCESSO, se ci saranno, si deciderà se devolverli ad Associazioni Sociali che ne abbiano bisogno o ad Associazioni per la Cannabis terapeutica e/o per lo studio di essa. Certamente si potranno investire nella realizzazione di Centri Sociali per l’informazione, proprio per l’avvenuta risposta referendaria eventuale e quindi la conseguente svolta nella CULTURA ITALIANA (Vedi Olanda dopo la Legalizzazione). Comunque siamo, su questo argomento come su tutti gli altri, aperti a qualsiasi tipo di proposta.

Chi sta Organizzando il Progetto?

Il Progetto viene Organizzato da FreeWeed Board, comitato nato dall’evoluzione in grande del Progetto FreeWeed e che del Progetto si fa promotore e organizzatore. Siamo Presenti in 15 Regioni in Italia, e stiamo cercando collaboratori in tutte le altre, mentre continuiamo ad ampliarci in quelle in cui sono già presenti coordinatori e referenti. 


Testo tratto da: www.freeweed.it

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di Checchino Antonini 

Non è reato coltivare marijuana a uso personale. Storica sentenza quella emessa ieri dal giudice Franco Attinà del tribunale di Ferrara. In aula c'erano due giovani arrestati dai carabinieri due settimane fa i carabinieri gli avevano trovato in casa quattro piante e otto grammi di marijuana.

Nel rito abbreviato, il loro difensore, Carlo Alberto Zaina di Ravenna, ha sollevato una questione di legittimità sull'art. 73 della Fini Giovanardi visto che gli stessi carabinieri avevano escluso che la detenzione fosse finalizzata alla vendita. La marijuana era destinata esclusivamente all'uso personale. Il sospetto di anticostituzionalità sta nell'equivalenza posta dai due dèmoni del proibizionismo nostrano tra cannabis, oppiacei e cocaina a dispetto delle direttive del Consiglio d'Europa che impediscono l'equiparazione tra droghe pesanti e droghe leggere. Identica questione di legittimità costituzionale è già stata sollevata dalla Corte d'Appello di Roma e sarà presto al vaglio della Corte Costituzionale. 

Un'altra decisione del Consiglio d'Europa, del 2004, consente la non punibilità per un uso esclusivamente personale, laddove lo Stato lo ammetta (come l'Italia, appunto). Motivazioni accolte dal giudice che, come riporta l' informatissimo Estense.com, è andato anche oltre. Anziché sospendere il giudizio e rinviare il motivo di legittimità alla Corte Costituzionale, è entrato direttamente nel merito, assolvendo gli imputati perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Fonte: 
http://popoff.globalist.it/Detail_News_Display?ID=56106&typeb=0&Coltivarsi-l-erba-si-puo-sentenza-storica-a-Ferrara

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In molti hanno rifiutato la scheda elettorale, chiedendo al Presidente del seggio di verbalizzare la decisione. Ecco alcuni verbali che stanno circolando su Facebook...

Immagini tratte da Facebook




Nocensura.com

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COMUNICATO STAMPA 30 LUGLIO 2010 
Aumentano le frodi nel settore della Rc auto. Dall’indagine svolta dall’ISVAP sui dati 
forniti dalle imprese per l’anno 2009 risulta che il numero dei sinistri collegati ad 
ipotesi di reato è aumentato da quota 76.784 del 2008 a 83.378 nel 2009, con un 
incremento dell’8,6%. L’incremento è riscontrabile anche in termini di incidenza sul 
totale del numero dei sinistri che passa dal 2,31% al 2,5%. 
Parallelamente, risulta in crescita l’importo dei sinistri “criminosi” da 293,1 milioni di 
euro del 2008 a 314,5 milioni di euro nel 2009, con un incremento del 7,3%. La 
relativa incidenza sull’importo totale dei sinistri aumenta dal 2,24% al 2,4%. 
L’analisi territoriale rivela una certa disomogeneità nel livello raggiunto dal fenomeno: 
alcune aree dell’Italia meridionale ed insulare (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) 
continuano a presentare livelli di incidenza sensibilmente superiori rispetto alla media 
nazionale. Le stesse regioni meridionali ed insulari registrano nel 2009 incrementi nel 
numero dei sinistri “criminosi” in taluni casi superiori al dato nazionale (13,2% per la 
Puglia, 10,6% per la Calabria). Per le altre regioni, è significativo nel Lazio ed in 
Basilicata il superamento del 2% nel livello di incidenza del numero dei sinistri 
collegati ad ipotesi di reato sul totale mentre le regioni settentrionali si confermano le 
meno interessate dal fenomeno. 
Oltre all’aumento dei sinistri collegati ad ipotesi di reato, nel 2009 si registra un 
aumento del contenzioso Rc auto. Le cause civili pendenti in ogni grado di 
giurisdizione passano da 255.383 a 268.759 unità (5,2%) mentre la relativa incidenza 
sul numero dei sinistri a riserva cresce dal 13,8% del 2008 al 14,6% del 2009. 
Analogamente al ramo Rc auto, nei principali rami diversi dalla Rc auto (corpi di 
veicoli terrestri, incendio ed elementi naturali, altri danni a beni) si riscontra nel 2009 
un aumento dei sinistri collegati ad ipotesi di reato. Il loro numero permane tuttavia 
contenuto: 15.736, pari a meno di un quinto dei sinistri “criminosi” del ramo Rc auto.  
Fonte: http://www.isvap.it/isvap_cms/docs/F7817/isvcs244.pdf

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Di Carlo Alberto Zaina
L' ordinamento giuridico italiano, all'apparenza ed asseritamente, sempre molto attento (talora in forma del tutto “acritica”) al rispetto delle fonti di diritto sovranazionale, alla rigorosa attuazione ed al recepimento delle direttive europee, veri e propri incipitnormativi comunitari, fortemente condizionanti l'attività legislativa interna, non pare manifestare, però, una simile spiccata sensibilità in relazione alla normativa concernente gli stupefacenti.
La questione della sostanziale distonia fra diritto comunitario e diritto nazionale, deve essere posta, muovendo dall'esame della scelta, radicale e di fondo, di unificare sul piano sanzionatorio tutte le tipologie di sostanza stupefacenti, abolendo, così, le tabelle nelle quali esse veniva divise e ricomprese operata dal legislatore italiano del 2006 [1].
La testarda, quanto illogica, volontà di addivenire – come in effetti si è addivenuti – all'abrogazione della naturale distinzione giuridica fra droghe cd. “leggere” e droghe cd. pesanti”, attraverso l'annullamento del relativo e diverso trattamento sanzionatorio, previsto, in origine dal dpr 309/90, sull'opinabile presupposto di una differente offensività delle stesse, si è tradotta in un gesto legislativo inammissibile, in quanto in irreversibile contrasto sia con i principi indicati nella decisione 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione Europea, sia con l'onere costituzionale trasfuso nell'art. 117 della Costituzione italiana.
Va rilevato, che la richiamata risoluzione comunitaria è stata concepita ed adottata nei paesi appartenenti all'Unione, come strumento idoneo ad costituire denominatore normativo chiaro e coerente, al fine di implementare il contrasto al traffico illecito di sostanze stupefacenti.
A tale logica rispondono, infatti, le linee guida in esso contenute, le quali assolvono al fine di rendere maggiormente omogenee tra loro le singole previsione legislative nazionali, prevenendo ipotetici conflitti, che lederebbero l'efficacia dell'intervento preventivo-repressivo in materia.
Rileva, ai fini della presente trattazione, l'esame del punto n. 5 delle considerazioni preliminari della decisione 2004/757/GAI, che costituisce passo di carattere generale e, comunque, propedeutico all'impianto normativo propriamente detto, che al successivo art. 4, traduce in termini specifici l'indicazione generale.
Il punto n. 5) afferma che la sanzioni concernenti le condotte illecite in materia di stupefacenti, devono ispirarsi ai principi della “efficacia”, “proporzionalità” e “dissuasività”.
Tra questi tre canoni fondamentali, quello che più significativamente si pone in correlazione con le sanzioni previste dall'art. 73 co. 1 e 5 dpr 309/90, appare quello della “proporzionalità” della pena.
 Esso risulta di specifica importanza tanto a livello di legislazione comunitaria, quanto sul piano del diritto interno italiano, posto che non è, affatto, revocabile in dubbio il suo rango costituzionale, desumibile dal combinato disposto dagli artt. 3 e 27 commi 1 e 3 Cost.[2]
Denominatore comune della legislazione interna, oltre che di quella europea è, dunque, quello di dare corso ad una effettiva diversificazione di singole situazioni, agendo in tal senso sulla base di paradigmi di carattere eminentemente oggettivo (quale può essere, ad esempio, il quantitativo di sostanza stupefacente).
Affinchè il criterio della “proporzionalità” non rimanga, però, una semplice e mera espressione di una petizione di principio, di natura generica ed astratta, il punto n. 5) della decisione del Consiglio dell'Unione Europea offre specifici e concreti canoni ermeneutici tendenzialmente fattuali.
Questi parametri devono, quindi, essere destinati all'individuazione dei limiti di pena e, tra essi, riveste una peculiare importanza “la natura degli stupefacenti oggetto di traffico”[3].
Appare, dunque, evidente che, in base ad una simile indicazione, il principio della “proporzionalità”della pena, si debba necessariamente coniugare con quelli della “offensività” e della “tassatività”.
La rilevanza del principio di “offensività”, allo scopo di individuare, in modo corretto e rispettoso dell'equazione fra fatto e sanzione concreta, la pena da prevedere in relazione ad una specifica ipotesi di reato, appare assoluta.
Il principio di “offensività” diviene, quindi, al contempo, presidio di “controllo delle scelta di politica criminale” e “criterio ermeneutico indirizzato al giudice”[4].
“Offensività”, dunque, come termometro del grado di antigiuridicità di un fatto o di un comportamento, ma – in pari tempo – anche quale parametro del tipo di riprovazione sociale di una condotta, od ancora, del livello di protezione e di tutela di un preciso bene giuridico.
Se, dunque, il legame fra proporzionalità ed offensività, appare, alla luce della considerazioni che precedono, simbiotico e diretto, esso, una volta calato nella realtà affrontata dalla decisione 2004/757/GAI, non pare, però, affatto rispettato e declinato dalla struttura dell'art. 73 commi 1 e 5 dpr 309/90, così venutasi a delineare a seguito della novella del 2006.
Come si è già avuto modo di affermare, uno dei profili salienti e di decisiva discontinuità introdotto dalla L. 49/2006, rispetto ai testi previgenti (L. 685/75 e lo stesso dpr 309/90) è consistito nella piena e completa equiparazione del trattamento sanzionatorio di sostanze stupefacenti e psicotrope , tra loro, affatto differenti.
Il generale giudizio di nocività che naturalmente connota l'assunzione di tutte le sostanze stupefacenti ed il carattere di presidio alla tutela collettiva ed individuale della salute (sia sotto il profilo repressivo, che sotto quello preventivo) hanno costituito, ad avviso del legislatore italiano, il fondamento di una scelta, per vero, assolutamente opinabile sul piano logico ed in netto contrasto con una fonte di diritto sovranazionale.
L'omologazione sanzionatoria tra sostanze che già, a parere della stessa comunità scientifica internazionale, vengono individuate come, indubbiamente, differenti tra loro, non solo per specifiche caratteristiche organolettiche, ma, soprattutto, in relazione al tipo di conseguenze (psico-fisiche) che la loro assunzione produce, ha, dunque, determinato, in forza della sua disapplicazione,un vulnus del ricordato principio di offensività .
La previsione normativa di una pena assolutamente identica (nel minimo come nel massimo edittale), in relazione a precisi e dettagliati comportamenti, aventi ad oggetto prodotti, che, seppur tutti classificati come illeciti, esprimono una diversa, quanto evidente, capacità di attentato alla salute di ne faccia uso, non appare, pertanto, affatto improntata a canoni di ragionevolezza o logicità.
La denunziata elusione del principio di “offensività” – nella fattispecie – si traduce ulteriormente nella lesione del principio di “proporzionalità”, inteso come “espressione di un equilibrio logico-etico-giuridico fra condotta illecita e relativa ricaduta sanzionatoria”.
Costituisce chiara evidenza, quindi, la considerazione che non si possa mai comprimere abnormemente la discrezionalità del legislatore, nella parte in cui essa concerne il “livello ed il modulo di anticipazione della tutela”[5].
Va, però, sottolineato come il timore di una indebita invasione delle competenze proprie ed istituzionali del legislatore interno, però, non può venire fecondamente paventato, nel caso in cui, una volta ritenuta pacifica l'operazione di costruzione dell'illecito penale – da parte dell'ente sovranazionale -, egli debba dare corso all'individuazione e tipizzazione di specifiche situazioni precettive, attenendosi alle linee guida di carattere generale.
Esiste, dunque, un vincolo gerarchico – inderogabile – nell'ambito dell'esercizio del potere legislativo.
Non si tratta, però, nel caso di specie, di svolgere un'attività di sindacato che investa scelte di politica criminale, le quali riguardino la precisazione di quelle condotte che si impongano come espressione di presunzioni di pericolo o la identificazione del limite oltre il quale il pericolo (riconducibile intimamente alla condotta) appare genericamente irrilevante.
Nel caso che ci occupa, invece, una volta individuato un condiviso denominatore comune di illiceità rispetto a tutta una serie di condotte tipizzate in materia di stupefacenti, si rende (e si rendeva) assolutamente necessaria l'adozione – da parte del legislatore – di un criterio idoneo a graduare il tenore di offensività, che possa connotare le sostanze oggetto delle condotte sanzionate.
Ciò non è, affatto, avvenuto e, dunque, questa omissione costituisce il primo pesante rilievo che deve essere mosso alla novella del 2006.
Vi è, però, di più.
Si impone, infatti, ai fini che ci occupano, la preliminare disamina della effettiva natura della fonte di diritto comunitario.
Si deve, quindi, procedere ad identificare a quale categoria di fonte del diritto della UE, la decisione 2004/757/GAI appartenga.
Pare di poter dire che la soluzione del quesito sia agevole ed incontroversa, nel senso di collocare la categoria delle “decisioni”, nella classe della “fonte del diritto derivato”, in quanto tale specie normativa (tipica del sistema legislativo UE) presenta carattere di atto unilaterale.
L'inserimento sistematico della classe delle decisioni (cui fa parte a pieno titolo la 2004/757/GAI) nella citata categoria, permette di affermare che ci si trova dinanzi ad una espressione normativa, la quale, in quanto “linea guida” internazionale, presenta un marchio di vincolante cogenza per i diritti interni degli stati appartenenti all'Unione Europea, i quali devono adeguare inderogabilmente le loro statuizioni ai dettami così stabiliti.
La conclamata posizione di prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno risulta condizione, ormai, assolutamente pacifica, in quanto supportata – da lungo tempo - in modo costante da pronunzie giurisprudenziali, come, ad esempio, quella n. 170/84 della Corte Costituzionale.
Consegue, pertanto, che l'estensione della sfera di applicazione di detto principio anche alle vere e proprie fonti del diritto comunitario, determina “la non applicazione da parte del giudice nazionale e degli organi amministrativi (per questi ultimi V. sent. n. 389 del 1989) delle norme interne contrastanti con l'ordinamento comunitario”[6].
Balza all'evidenza come il principio appena riportato appaia del tutto pertinente alla situazione di conflitto, che si va, in questa sede, esaminando e non richieda commenti di sorta, per la sua lapidaria chiarezza.
Come è stato affermato dalla Consulta nella citata sentenza n. 170 del 1984, la ratio della prevalenza accordata al diritto comunitario è ravvisabile sulla base della “distinzione (e nello stesso tempo) e del coordinamento tra i due ordinamenti”.
La attività di produzione legislativa di diritto nazionale deve, quindi, svolgersi nel rigoroso e tassativo rispetto degli obblighi comunitari vigenti, giusto il disposto dell'art. 117 comma 1 e 2 Cost.
La norma appena richiamata pone, infatti, espressamente in correlazione l'esercizio della potestà legislativa con i “vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
L'esistenza di una previsione del tipo di quella trasfusa nell'art. 117 Cost. Costituisce, poi, sul fronte del diritto interno, prova ulteriore del grave inadempimento dello Stato italiano e della fondatezza della questione che si va esaminando.
** ** **
Attese le univoche premesse sino ad ora sviluppate, emerge non solo il palese contrasto fra la norma comunitaria ricordata e l'art. 73 comma 1 e 5 dpr 309/90, ma, soprattutto, affiora una duplice condizione di grave inerzia, espressione di un inadempimento che coinvolge anche la Unione Europea.
Da un lato, infatti, appare evidente come l'Autorità comunitaria, sempre assai sensibile – come già detto - in materie di importanza notevolmente inferiore a quella in questione, tolleri ingiustificatamente il mancato adeguamento della legislazione italiana alle tassative e precise indicazioni europee, senza elevare una procedura di infrazione a carico dell'Italia.
Dall'altro, inoltre, risulta assolutamente ingiustificata la scelta del Governo italiano, operata con la novella del 21 febbraio 2006, di disattendere platealmente il dettato della decisione 2004/757/GAI e, in pari tempo, di derogare al dettato costituzionale dell'art. 117, attraverso la irrazionale ed illogica omologazione del trattamento sanzionatorio concernente sostanze stupefacenti ictu oculi, tra loro, del tutto differenti.
La nuova formulazione del comma 1 dell'art. 73 dpr 309/90 (e del comma 5 dello stesso articolo), nella parte in cui si stabilisce una unica pena (per il co. 1 da 6 a 20 anni di reclusione e da € 26.000 ad € 260.000 di multa, mentre per il co. 5 da 1 a 6 anni di reclusione e da € 3.000 ad 26.000 di multa), appare insensata e contraria a massime scientifiche e di logica, ma, soprattutto, tangibilmente lesiva del criterio di proporzionalità che proprio l'art. 4 comma 1 della decisione 2004/757/GAI sancisce inequivocabilmente.
La opinabile scelta di politica criminale del Governo italiano – come si è avuto modo di sottolineare – si pone in contrasto con l'art. 117 Cost., siccome si rivela incompatibile con quelle indicazioni di carattere generale del diritto comunitario, cui essa avrebbe dovuto tassativamente conformarsi.
Vi è, poi, da rilevare come l'opzione – tradottasi nella L. 49/2006 – si riveli come particolarmente grave, in quanto scientemente adottata, addirittura, successivamente alla promulgazione e vigenza della norma comunitaria di riferimento!
Il legislatore italiano (che non poteva, certo, ignorare la esistenza e la forza vincolante della pregressa decisione europea) ha, dunque, deliberatamente inteso porsi in contrasto con la fonte gerarchicamente superiore (il diritto comunitario), determinando, al contempo, anche una distonia assoluta, sul piano normativo, anche con la propria legge fondamentale: la Costituzione.
Ritiene chi scrive che la questione possa e debba trovare soluzione solo con la sua devoluzione alla Corte Costituzionale.
Il giudice delle leggi deve essere chiamato, quindi, a valutare se – come sembra – nella scelta di unificare il regime sanzionatorio concernente le condotte relative agli stupefacenti, rendendolo comune a tutte le le sostanze, non si debba ravvisare il contrasto con gli artt. 3, 24, 27 e 117 Cost. .
Questo, a parere dello scrivente, deve essere il nucleo fondamentale della disamina, che si auspica.
Vale a dire, quindi, che il quesito va posto nei seguenti termini e cioè se “risulti costituire previsione tassativa e vincolante, per il legislatore interno, quella di individuare fra i vari canoni idonei a determinare l'entità della pena anche la natura degli stupefacenti oggetto di traffico, così come stabilito dall'art. 4 comma 1 e dal punto n. 5) della decisione 2004/757/GAI e se il mancato recepimento, in relazione al dpr 10 ottobre 1990 n. 309, (in materia di regolamentazione delle sostanze stupefacenti), di queste tassative indicazioni normative internazionali, da parte del nostro ordinamento, determini la illegittimità costituzionale dell'art. 73 co. 1 e 5 dpr 309/90 così come modificato dalla L. 21 febbraio 2006 n. 49, per contrasto con gli artt. 3, 24, 27 e 117 Cost.”.



[1]    La l. 21 febbraio 2066 n. 49 che ha parzialmente modificato il dpr 9 ottobre 1990 n. 309
[2]    La tradizione e la cultura penalistica italiana, d'altro canto, già con giganti con Beccaria o Filangieri, ebbe a segnare ed indicare che senza il richiamo al criterio della proporzionalità, la pena rischia di essere null'altro che una pubblica vendetta dello Stato
[3]    Gli altri concernono i “quantitativi”, “la commissione di reati in un contesto organizzativo”
[4]    V. Manes “Principi costituzionali in materia penale” Atti della conferenza di Madrid 13-15 ott. 2011
[5]    V. Manes “Principi costituzionali... “ cit. pg. 44
[6]    Cfr. LegXV.camera.it



Fonte: http://www.aduc.it/articolo/stupefacenti+sulla+possibile+incostituzionalita_20943.php

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18 dic – ”Con tutta la stima e l’amicizia che ho avuto nei confronti del presidente Napolitano dovro’ presentare una richiesta di messa in stato di accusa del presidente della Repubblica per attentato alla Costituzione per aver firmato il decreto legge in materia elettorale senza aver accertato che vi fosse stata una consultazione con tutte le forze politiche come gia’ avevo sollecitato”. Lo afferma Roberto Calderoli, capogruppo in commissione Affari Costituzionali del Senato e responsabile Organizzativo Federale della Lega Nord. ”L’aver firmato il decreto legge che di fatto consente alle improbabili forze che sostengono una improbabile candidatura di Monti premier e’ davvero troppo. A novembre dello scorso anno -dice Calderoli- si e’ impedito al popolo di poter votare e si e’ nominato Monti a capo di governo. Oggi, non solo si prevede di sciogliere le Camere quando lo decide Monti e non il Presidente della Repubblica, sempre che non sia la stessa persona, ma si assiste a un Presidente della Repubblica che esalta l’azione del governo, e quindi di Monti, e firma un decreto che consente al premier nominato e mai votato di potersi ripresentare senza raccogliere neppure le firme previste dalla legge. A questo punto -prosegue provocatoriamente Calderoli- perche’ il governo Monti non fa un ‘decreto legge Monti’ che nomina Monti come premier per la prossima legislatura, con la consueta firma del presidente Napolitano? Porte aperte alla democrazia e quindi chi ha gia’ ricevuto dei voti come Grillo, non ha il diritto di presentarsi senza la raccolta delle firme, ma non certo i nominati dalle banche e dai poteri forti”. Conclude Calderoli: ”Che tristezza veder Napolitano concludere il suo mandato con questi opportunisti comportamenti e vedere i due capi dei principali partiti, ovvero il signor Alfano e il signor Bersani senza le palle”. 
Fonte: http://www.imolaoggi.it/?p=36407

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riforma condominio legge
Amministratore "trasparente", nuovi quorum delle assemblee, via libera agli animali e ai condomini che vogliono staccarsi dal riscaldamento centralizzato

Una riforma dopo 70 anni. Sta per essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge(scarica il testo in pdf) che modifica la disciplina "del condominio negli edifici", una ventina di articoli del Codice civile rimasti pressoché invariati dal 1942, mentre la convivenza e le esigenze di uno stabile si sono completamente trasformate. Un mondo dove la casistica delle situazioni, spesso ad alta conflittualità, è pressoché infinita. La nuova legge, che entrerà in vigore dopo 6 mesi dalla pubblicazione (quindi presumibilmente verso la metà del 2013),  andrà a incidere sulla vita quotidiana di 30 milioni di italiani che vivono in edifici condominiali.

Le novità riguardano moltissimi aspetti delle vita condominiale: dal ruolo dell'amministratore, ai quorum delle assemblee, al sito web per le comunicazioni alla tutela degli animali, la possibilità di staccarsi dal riscaldamento centralizzato e leparabole tv. Vediamole più in dettaglio.

AMMINISTRATORE. E' una figura che che viene riqualificata dalla riforma. Il suo mandato dura 2 annie prevede:
• obblighi di formazione (diploma superiore e corsi specifici per chi svolge questa professione de meno di 1 anno);
• obblighi di trasparenza sui suoi dati professionali e sulla gestione finanziaria (informazione ai condòmini sullo stato dei pagamenti e delle pendenze). Al momento della nomina (o del rinnovo) dell'incarico deve specificare, l'importo del suo stipendio e non ha diritto ad altri compensi  che non vengano deliberati dell'assemblea;
• obbligo di stipulare una polizza di responsabilità professionale.

In caso di gravi irregolarità anche un solo condomino può richiedere la convocazione dell'assemblea per revocare il suo mandato.


ASSEMBLEA. Per facilitare le decisioni si abbassano i quorum, cioè i numeri necessari per la validità dell'assemblea e delle sue delibere:
• per la costituzione in 1a convocazione: 50% + 1 dei condomini e 2/3 dei millesimi;
• per la costituzione in 2a convocazione (quella effettiva): 1/3 dei condomini e 1/3 dei millesimi;
• per le delibere (sempre in 2a convocazione): 50% + 1 dei partecipanti e 1/3 dei millesimi.
Il quorum è ulteriormente ridotto per le delibere che riguardano la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti, l'abbattimento di barriere architettoniche, il risparmio energetico, i parcheggi, le antenne e gli impianti telematici centralizzati.

Viene in contemporanea limitato l’(ab)uso della delega: se i condòmini sono più di 20, un singolo partecipante all'assemblea non può rappresentare più di 1/5 dei condòmini e 1/5 dei millesimi.

RISCALDAMENTO. Il singolo condomino potrà staccarsi dall’impianto centralizzato se:
• il suo appartamento non è sufficientemente riscaldato per problemi tecnici all’impianto condominiale che non vengono risolti nel corso di una stagione;
• il distacco non comporta squilibri che compromettono la normale erogazione di calore agli altri appartamenti.
Se il distacco comporta una spesa aggiuntiva chi si separa deve partecipare alle spese di manutenzione straordinaria dell’impianto.

SCALE E ASCENSORE. Sono equiparati nel criterio di ripartizione delle spese.

ANTENNE. Viene riconosciuto il diritto del singolo condomino all'installazione dell'impianto di ricezione radiotelevisiva individuale.

ANIMALI. Sarà vietato vietare con regolamento condominiale la presenza di animali domestici nelle abitazioni.

SANZIONI. Le violazioni al regolamento condominiale verranno sanzionate con multe da 200 fino a 800 euro in caso di recidiva.

CONDOMINIO ONLINE. Infine la riforma autorizza l'apertura di siti internet condominiali con pubblicazione online di tutta la documentazione assembleare (verbali, delibere) e dei dati contabili. Per l'attivazione del sito è necessario il 50% + 1 dei condomini intervenuti in assemblea e il 50% dei millesimi. Il sito dovrà essere protetto con password.




Fonte: 
http://economia.virgilio.it/diritto/la-riforma-del-condominio-e-legge-tutte-le-novita.html?pmk=hpsoc&rnd=16948

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Altro che "aiutare le imprese"... alcune settimane fa è entrata in vigore l'ennesima normativa sfavorevole per le imprese, già duramente colpite dalla pressione fiscale elevatissima...

A cura dell'Avv. Angelo Pisani, Presidente di "Noi Consumatori"

“Dal 24 ottobre 2012 è entrata in vigore l'ennesima legge beffa, una legge incostituzionale che viola le regole del mercato e che, come al solito, andrà a colpire i cittadini, i piccoli imprenditori, e non varrà per la amministrazioni statali. Si tratta dell'articolo 62 del Decreto Liberalizzazioni che obbligherà le aziende alimentari, incluse quelle di ristorazione, a pagare le merci entro massimo 30 giorni per quelle fresche e 60 per le restanti. Chi non si adegua e non paga entro le scadenze è passibile di multe salatissime, anche decine di migliaia di euro, ed a ciò non è possibile alcuna deroga nonostante si tratti di transazioni tra privati”. A denunciarlo è l’avvocato Angelo Pisani, presidente dell’associazione Noi Consumatori, il quale punta il dito contro l’articolo 62 del Decreto Liberalizzazioni che prevede un’incisiva stretta dei termini di pagamento per prodotti agricoli ed alimentari.
“Sono stati introdotti nuovi e inderogabili obblighi di legge riferiti ai termini di pagamento delle derrate alimentari che presentano evidenti e gravissime ripercussioni sul settore dei pubblici esercizi e della ristorazione. Ad oggi le aziende incontrano già numerosissime difficoltà nell’accesso al credito – spiega Pisani -, e questa legge aggrava tale condizione bloccando qualsiasi apertura agli investimenti e viola di fatto i principi di democrazia. E’ da tenere bene a mente che la nuova norma prevede multe salate per le imprese che non pagano i prodotti alimentari entro i termini sanciti, ma non tiene assolutamente conto del ritardo, che può arrivare fino a due anni, con cui la Pubblica Amministrazione paga per il servizio che riceve. Ciò comporta inevitabilmente che i ristoratori dovranno pagare entro le scadenze - inderogabili! - i fornitori senza ricevere però i pagamenti dovuti in tempo. Non è questo un rapporto equo e democratico! Chi verrà danneggiato da questa norma sarà la piccola realtà sempre più in declino e strozzata a favore degli interessi delle solite lobby”

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Di Temistocle Marasco

Sono le Sezioni Unite della Cassazione a sdoganare, una volta per tutte, il commercio dei semi di cannabis: la loro vendita, infatti, sia che avvenga attraverso internet che in un normale negozio non integra il reato di istigazione e induzione all’uso di stupefacenti e ciò anche se accompagnata dalle indicazioni operative su come provvedere alla coltivazione e contestuale vendita di strumenti atti alla coltivazione medesima. La massima autorità giudiziaria italiana ha così chiuso il famoso caso semitalia.it, che aveva visto i gestori del noto portale finire dietro le sbarre.

Per quanti vorranno leggere il testo della sentenza, rinviamo al sito stesso della Cassazione: ecco il link http://www.cortedicassazione.it/Documenti/2012_25355.pdf
Invece, per un maggior approfondimento del caso, rinviamo all’ottimo articolo scritto dall’Aduca questo indirizzo [1].

Pietro Yates Moretti, vicepresidente Aduc, ha così commentato la notizia: “Viene così smontata una volta per tutte una politica del diritto penale sugli stupefacenti fondata sulla repressione dei reati d’opinione, così come la vorrebbe la legge Fini-Giovanardi. Se la vendita di semi di cannabis è di per sé legale e riconosciuta tale dalla Convenzione di New York del 1967, diversi pubblici ministeri, su impulso del precedente Governo – di cui faceva parte lo stesso Giovanardi in qualità di sottosegretario con delega in materia di stupefacenti – hanno voluto proibirla indirettamente punendo i commercianti non tanto per l’attività di vendita, ma per il reato di istigazione o induzione al consumo di droghe che sottenderebbe l’attività commerciale. Una strada che si è oggi rivelata impercorribile perché in contrasto con i principi fondamentali del diritto.


Il precedente non è il primo. Anzi: già diversi tribunali si erano espressi in tal senso (tra cui Bolzano, Firenze, Rovereto e Cagliari). Tuttavia, l’importanza del caso odierno sta proprio nella provenienza della sentenza: le sezioni unite della Cassazione sono infatti il più alto Consesso tra le autorità giudiziarie del nostro Paese.

Il vicepresidente dell’Aduc ha avuto parole di forte critica in merito all’attuale politica sulle droghe, anche in concomitanza con la recente liberalizzazione avvenuta in Colorato e nello Stato di Washington: “Le numerose pronunce giudiziarie mettono in luce anche uno degli aspetti più repulsivi dell’attuale politica sulle droghe. Nell’impossibilità di ridurre la domanda e l’offerta di sostanze stupefacenti, ormai certificata da quarant’anni di fallimenti della guerra alla droga che ha dato vita a un ricco mercato nero di cui beneficiano a pieno le peggiori organizzazioni criminali, la repressione si concentra sui piccoli consumatori di cannabis, sostanza infinitamente meno pericolosa di alcool e tabacco. Dal sequestro dei registri di siti di vendita come mariuana.it e Seminali sono scaturite migliaia di perquisizioni e arresti di acquirenti di semi di cannabis”.

Il comunicato dell’Aduc riporta poi le parole famose del Tribunale di Firenze, investito di un caso simile: “La verità che non si vuol vedere è che questi esercizi di rivendita legale di semi per collezione hanno plausibilmente quali unici estimatori proprio coloro che hanno esigenza di fare uso di marijuana rendendosi però indipendenti pro prio dal mercato illegale della droga, e facendo così in proprio a livello domestico”.


[1] Dal sito ADUC, autore Carlo Albero Zaina: L’attenzione delle SS.UU. si è, dunque, incentrata sul quesito di diritto che testualmente recita: Se integra il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti la pubblicizzazione e la messa in vendita di semi di piante idonee a produrre dette sostanze, con l’indicazione delle modalità di coltivazione e la resa.
La questione, affrontata con la decisione il cui dispositivo si illustra, in attesa della pubblicazione delle motivazioni, è venuta ad involgere, così, gli artt. 26, 73, 82 e 84 del T.U. Stup. 309/90 e 414. e 84 c.p. .
Si deve, infatti, rilevare che il ricorso per Cassazione della Procura della Repubblica di Firenze, oltre a dolersi della presunta falsa ed erronea applicazione degli artt. 82 e 84 della legge sugli stupefacenti, introduceva in via subordinata ed alternativa, alla richiesta principale, anche il tema della sussistenza della possibile configurabilità del combinato disposto dagli artt. 414 c.p. e 73 dpr 309/90, in relazione a quelle ipotesi di commercio di semi di cannabis che presentino, in modo in equivocamente deliberato anche – ad adiuvandum – attività di esplicazione delle tecniche coltivative.
Questa prospettazione di evidente carattere ipotetico-alternativo era stata, peraltro, disattesa dal giudice di prime cure (il GUP di Firenze).
Ad avviso del giudicante, infatti, la differente natura delle due ipotesi di reato (l’una istigazione ad una condotta non reato, l’altra istigazione ad un condotta di reato) escludeva a priori qualsiasi possibilità di commistione fra le stesse e, quindi, la configurazione di una estrometteva logicamente l’altra in relazione alla fattispecie in oggetto
La soluzione adottata dalle SS.UU. pare – il condizionale è d’obbligo in attesa di leggere per esteso l’ordinanza – avere colto e valorizzato, invece, proprio quest’ultimo tema, venendo ritenuta la possibilità della formulazione di una contestazione del reato di istigazione alla coltivazione (artt. 414 cp e 73 dpr 309/90)
La soluzione addotta – come si può leggere sul sito della Suprema Corte è la seguente “Negativa, salva la possibilità di sussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato ex art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti”.
Pare, dunque, di potere affermare che l’ordinanza in commento ha tassativamente e definitivamente negato l’applicabilità dell’art. 82 dpr 309/90 al commercio di semi di cannabis.
In questo modo, è stata superata anche quell’opinione giurisprudenziale, la quale, utilizzando una affermazione corretta (“la coltivazione costituisce un passaggio necessario, per pervenire all’uso di stupefacenti”), intendeva, peraltro, giustificare, in maniera assolutamente impropria ed errata, l’utilizzo della norma in questione, a carico dei commercianti di semi di cannabis.
In buona sostanza, il tentativo di estendere la valenza della norma di cui all’art. 82, anche a casi del tutto ultronei all’operatività della stessa, avveniva, in sede giurisprudenziale, pur in presenza di una inequivoca e tassativa struttura espositiva del testo, il quale mirava a sanzionare esclusivamente condotte (istigatorie) collegate in modo esclusivo e diretto (non già mediato) all’uso di stupefacenti.
La criticata posizione interpretativa, inoltre, manifestava la propria insufficienza, sol che si pensi agli elementi di fatto che usualmente formavano (e formano) la base e la architettura per la descrizione – in sede di formulazione dell’imputazione – delle condotte costituenti quegli addebiti penali, in base ai quali qualificare l’ipotesi di reato di cui all’art. 82 dpr 309/90.
Le attività, usualmente contestate, dalla pubblica accusa, agli indagati/imputati, si incentrano sempre, specificatamente, sulla pressione o sull’agevolazione a coltivare piante da cui ricavare lo stupefacente, cioè su di una volontà di rafforzare o creare una situazione di determinazione del soggetto.
Si tratta di una condotta, che, usualmente, la pubblica accusa assume come, deliberatamente e scientemente, svolta dal commerciante a corollario della vendita di semi e rivolta verso l’acquirente.
E’ naturale, però, il rilievo, già anticipato, che “l’istigazione o l’induzione a coltivare” costituisce, però, comportamento completamente diverso ed affatto confondibile rispetto all’ ”istigazione all’uso di sostanze stupefacenti”.
Siamo, infatti, dinanzi a due momenti ed a due comportamenti, assolutamente indipendenti e tra loro autonomi, i quali semmai, possono risultare logicamente successivi sul piano temporale.
Va, inoltre, considerato che la ratio dell’art. 82 dpr 309/90 postula la punibilità di un atteggiamento (“l’istigazione”) che non è affatto finalizzato a determinare un soggetto a commettere un reato, in quanto l’uso di stupefacenti non costituisce ipotesi penalmente sanzionabile, bensì illecito puramente amministrativo.
Diversamente, l’ipotizzazione – nei fatti e sulla base dei richiami usualmente usati nei capi di imputazione – dell’abbinamento, da parte del commerciante, fra la vendita di semi di cannabis (lecita) e la divulgazione di metodologie specifiche e qualificate per produrre sostanze stupefacenti (illecita), può costituire – previa valutazione del magistrato di volta in volta – una situazione di “istigazione” alla commissione di un reato (la coltivazione ex art. 73 co. 1 dpr 309/90).
Da queste considerazioni discende, quindi, l’indicazione da parte delle SS.UU. di una nuova via metodologica di indagine, in relazione al fenomeno, sino ad oggi sussunto (erroneamente) nel disposto dell’art. 82 dpr 309/90.
Appare, peraltro, evidente dallo stesso tenore letterale della massima (e salvo ulteriori e diverse indicazioni che derivassero da una possibile più attenta lettura dei profili motivazionali) che “….la possibilità di sussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato ex art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti”, costituisce un’ipotesi di reato meramente residuale.
Indubbiamente, ove si ravvisasse, in casi specifici la violazione del combinato disposto dagli artt. 414 c.p. e 73 dpr 309/90, si verrebbe a verificare l’effetto per il quale l’imputato verrebbe ad incorrere in trattamenti sanzionatori di maggiore severità rispetto alle pene previste dall’art. 82.
Ritengo, però, che i criteri ermeneutici da utilizzare, al fine di addivenire – di volta in volta – alla valutazione della configurabilità (o meno) del reato di istigazione alla coltivazione, non potranno discostarsi sensibilmente, da quelli adottati sino a od oggi, vigente, l’indirizzo superato.
Essi dovranno – ad avviso di chi scrive – ancorarsi a quel ragionevole criterio espresso dalla giurisprudenza della Sezione Quarta, che – con la sentenza 17 gennaio 2012 – ha predicato
1)      l’esclusione in radice della illiceità della vendita di semi di cannabis,
2)      il raggiungimento della prova di una serie di attività di informazione, diffusione ed esaltazione comunicativa, che si pongano in relazione strumentale ed in equivoca, oltre che risultino deliberatamente orientate a promuovere ed a favorire la coltivazione.
Si tratta di un criterio adottato per la configurabilità concreta dell’ipotesi prevista dall’art. 82 dpr 309/90, ma tale requisito appare ben applicabile anche in questo caso.

Queste sono le prime considerazioni, attendiamo le motivazioni per ulteriori valutazioni.

fonte: http://www.laleggepertutti.it/17691_vendere-cannabis-e-dare-istruzioni-sulla-coltivazione-non-e-piu-reato

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