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Di Temistocle Marasco

Sono le Sezioni Unite della Cassazione a sdoganare, una volta per tutte, il commercio dei semi di cannabis: la loro vendita, infatti, sia che avvenga attraverso internet che in un normale negozio non integra il reato di istigazione e induzione all’uso di stupefacenti e ciò anche se accompagnata dalle indicazioni operative su come provvedere alla coltivazione e contestuale vendita di strumenti atti alla coltivazione medesima. La massima autorità giudiziaria italiana ha così chiuso il famoso caso semitalia.it, che aveva visto i gestori del noto portale finire dietro le sbarre.

Per quanti vorranno leggere il testo della sentenza, rinviamo al sito stesso della Cassazione: ecco il link http://www.cortedicassazione.it/Documenti/2012_25355.pdf
Invece, per un maggior approfondimento del caso, rinviamo all’ottimo articolo scritto dall’Aduca questo indirizzo [1].

Pietro Yates Moretti, vicepresidente Aduc, ha così commentato la notizia: “Viene così smontata una volta per tutte una politica del diritto penale sugli stupefacenti fondata sulla repressione dei reati d’opinione, così come la vorrebbe la legge Fini-Giovanardi. Se la vendita di semi di cannabis è di per sé legale e riconosciuta tale dalla Convenzione di New York del 1967, diversi pubblici ministeri, su impulso del precedente Governo – di cui faceva parte lo stesso Giovanardi in qualità di sottosegretario con delega in materia di stupefacenti – hanno voluto proibirla indirettamente punendo i commercianti non tanto per l’attività di vendita, ma per il reato di istigazione o induzione al consumo di droghe che sottenderebbe l’attività commerciale. Una strada che si è oggi rivelata impercorribile perché in contrasto con i principi fondamentali del diritto.


Il precedente non è il primo. Anzi: già diversi tribunali si erano espressi in tal senso (tra cui Bolzano, Firenze, Rovereto e Cagliari). Tuttavia, l’importanza del caso odierno sta proprio nella provenienza della sentenza: le sezioni unite della Cassazione sono infatti il più alto Consesso tra le autorità giudiziarie del nostro Paese.

Il vicepresidente dell’Aduc ha avuto parole di forte critica in merito all’attuale politica sulle droghe, anche in concomitanza con la recente liberalizzazione avvenuta in Colorato e nello Stato di Washington: “Le numerose pronunce giudiziarie mettono in luce anche uno degli aspetti più repulsivi dell’attuale politica sulle droghe. Nell’impossibilità di ridurre la domanda e l’offerta di sostanze stupefacenti, ormai certificata da quarant’anni di fallimenti della guerra alla droga che ha dato vita a un ricco mercato nero di cui beneficiano a pieno le peggiori organizzazioni criminali, la repressione si concentra sui piccoli consumatori di cannabis, sostanza infinitamente meno pericolosa di alcool e tabacco. Dal sequestro dei registri di siti di vendita come mariuana.it e Seminali sono scaturite migliaia di perquisizioni e arresti di acquirenti di semi di cannabis”.

Il comunicato dell’Aduc riporta poi le parole famose del Tribunale di Firenze, investito di un caso simile: “La verità che non si vuol vedere è che questi esercizi di rivendita legale di semi per collezione hanno plausibilmente quali unici estimatori proprio coloro che hanno esigenza di fare uso di marijuana rendendosi però indipendenti pro prio dal mercato illegale della droga, e facendo così in proprio a livello domestico”.


[1] Dal sito ADUC, autore Carlo Albero Zaina: L’attenzione delle SS.UU. si è, dunque, incentrata sul quesito di diritto che testualmente recita: Se integra il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti la pubblicizzazione e la messa in vendita di semi di piante idonee a produrre dette sostanze, con l’indicazione delle modalità di coltivazione e la resa.
La questione, affrontata con la decisione il cui dispositivo si illustra, in attesa della pubblicazione delle motivazioni, è venuta ad involgere, così, gli artt. 26, 73, 82 e 84 del T.U. Stup. 309/90 e 414. e 84 c.p. .
Si deve, infatti, rilevare che il ricorso per Cassazione della Procura della Repubblica di Firenze, oltre a dolersi della presunta falsa ed erronea applicazione degli artt. 82 e 84 della legge sugli stupefacenti, introduceva in via subordinata ed alternativa, alla richiesta principale, anche il tema della sussistenza della possibile configurabilità del combinato disposto dagli artt. 414 c.p. e 73 dpr 309/90, in relazione a quelle ipotesi di commercio di semi di cannabis che presentino, in modo in equivocamente deliberato anche – ad adiuvandum – attività di esplicazione delle tecniche coltivative.
Questa prospettazione di evidente carattere ipotetico-alternativo era stata, peraltro, disattesa dal giudice di prime cure (il GUP di Firenze).
Ad avviso del giudicante, infatti, la differente natura delle due ipotesi di reato (l’una istigazione ad una condotta non reato, l’altra istigazione ad un condotta di reato) escludeva a priori qualsiasi possibilità di commistione fra le stesse e, quindi, la configurazione di una estrometteva logicamente l’altra in relazione alla fattispecie in oggetto
La soluzione adottata dalle SS.UU. pare – il condizionale è d’obbligo in attesa di leggere per esteso l’ordinanza – avere colto e valorizzato, invece, proprio quest’ultimo tema, venendo ritenuta la possibilità della formulazione di una contestazione del reato di istigazione alla coltivazione (artt. 414 cp e 73 dpr 309/90)
La soluzione addotta – come si può leggere sul sito della Suprema Corte è la seguente “Negativa, salva la possibilità di sussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato ex art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti”.
Pare, dunque, di potere affermare che l’ordinanza in commento ha tassativamente e definitivamente negato l’applicabilità dell’art. 82 dpr 309/90 al commercio di semi di cannabis.
In questo modo, è stata superata anche quell’opinione giurisprudenziale, la quale, utilizzando una affermazione corretta (“la coltivazione costituisce un passaggio necessario, per pervenire all’uso di stupefacenti”), intendeva, peraltro, giustificare, in maniera assolutamente impropria ed errata, l’utilizzo della norma in questione, a carico dei commercianti di semi di cannabis.
In buona sostanza, il tentativo di estendere la valenza della norma di cui all’art. 82, anche a casi del tutto ultronei all’operatività della stessa, avveniva, in sede giurisprudenziale, pur in presenza di una inequivoca e tassativa struttura espositiva del testo, il quale mirava a sanzionare esclusivamente condotte (istigatorie) collegate in modo esclusivo e diretto (non già mediato) all’uso di stupefacenti.
La criticata posizione interpretativa, inoltre, manifestava la propria insufficienza, sol che si pensi agli elementi di fatto che usualmente formavano (e formano) la base e la architettura per la descrizione – in sede di formulazione dell’imputazione – delle condotte costituenti quegli addebiti penali, in base ai quali qualificare l’ipotesi di reato di cui all’art. 82 dpr 309/90.
Le attività, usualmente contestate, dalla pubblica accusa, agli indagati/imputati, si incentrano sempre, specificatamente, sulla pressione o sull’agevolazione a coltivare piante da cui ricavare lo stupefacente, cioè su di una volontà di rafforzare o creare una situazione di determinazione del soggetto.
Si tratta di una condotta, che, usualmente, la pubblica accusa assume come, deliberatamente e scientemente, svolta dal commerciante a corollario della vendita di semi e rivolta verso l’acquirente.
E’ naturale, però, il rilievo, già anticipato, che “l’istigazione o l’induzione a coltivare” costituisce, però, comportamento completamente diverso ed affatto confondibile rispetto all’ ”istigazione all’uso di sostanze stupefacenti”.
Siamo, infatti, dinanzi a due momenti ed a due comportamenti, assolutamente indipendenti e tra loro autonomi, i quali semmai, possono risultare logicamente successivi sul piano temporale.
Va, inoltre, considerato che la ratio dell’art. 82 dpr 309/90 postula la punibilità di un atteggiamento (“l’istigazione”) che non è affatto finalizzato a determinare un soggetto a commettere un reato, in quanto l’uso di stupefacenti non costituisce ipotesi penalmente sanzionabile, bensì illecito puramente amministrativo.
Diversamente, l’ipotizzazione – nei fatti e sulla base dei richiami usualmente usati nei capi di imputazione – dell’abbinamento, da parte del commerciante, fra la vendita di semi di cannabis (lecita) e la divulgazione di metodologie specifiche e qualificate per produrre sostanze stupefacenti (illecita), può costituire – previa valutazione del magistrato di volta in volta – una situazione di “istigazione” alla commissione di un reato (la coltivazione ex art. 73 co. 1 dpr 309/90).
Da queste considerazioni discende, quindi, l’indicazione da parte delle SS.UU. di una nuova via metodologica di indagine, in relazione al fenomeno, sino ad oggi sussunto (erroneamente) nel disposto dell’art. 82 dpr 309/90.
Appare, peraltro, evidente dallo stesso tenore letterale della massima (e salvo ulteriori e diverse indicazioni che derivassero da una possibile più attenta lettura dei profili motivazionali) che “….la possibilità di sussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato ex art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti”, costituisce un’ipotesi di reato meramente residuale.
Indubbiamente, ove si ravvisasse, in casi specifici la violazione del combinato disposto dagli artt. 414 c.p. e 73 dpr 309/90, si verrebbe a verificare l’effetto per il quale l’imputato verrebbe ad incorrere in trattamenti sanzionatori di maggiore severità rispetto alle pene previste dall’art. 82.
Ritengo, però, che i criteri ermeneutici da utilizzare, al fine di addivenire – di volta in volta – alla valutazione della configurabilità (o meno) del reato di istigazione alla coltivazione, non potranno discostarsi sensibilmente, da quelli adottati sino a od oggi, vigente, l’indirizzo superato.
Essi dovranno – ad avviso di chi scrive – ancorarsi a quel ragionevole criterio espresso dalla giurisprudenza della Sezione Quarta, che – con la sentenza 17 gennaio 2012 – ha predicato
1)      l’esclusione in radice della illiceità della vendita di semi di cannabis,
2)      il raggiungimento della prova di una serie di attività di informazione, diffusione ed esaltazione comunicativa, che si pongano in relazione strumentale ed in equivoca, oltre che risultino deliberatamente orientate a promuovere ed a favorire la coltivazione.
Si tratta di un criterio adottato per la configurabilità concreta dell’ipotesi prevista dall’art. 82 dpr 309/90, ma tale requisito appare ben applicabile anche in questo caso.

Queste sono le prime considerazioni, attendiamo le motivazioni per ulteriori valutazioni.

fonte: http://www.laleggepertutti.it/17691_vendere-cannabis-e-dare-istruzioni-sulla-coltivazione-non-e-piu-reato

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