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Articoli 4 e 7: contributo di solidarietà e normativa sui fuorirosa. Ecco dove è crollato l’accordo. Bene, sul contributo di solidarietà e raddoppi illegali di aliquote avete già ascoltato i vaneggiamenti dei politici suddetti. Ridicoli. I calciatori sono i contribuenti più corretti e munifici del sistema delle imposte italiane: pagano il 43% e i loro contratti gli impediscono di aggirare anche una sola tassa. Ricevono un netto su cui portano avanti le loro trattative di mercato e questo basterebbe a spiegare tutto. Detto questo, accettano anche di pagare di persona: chiedono una diversità di trattamento, però. E non per quelli più ricchi, come vi hanno fatto credere, ma per quei giocatori delle serie inferiori, quelli che magari viaggiano tra i 90.000 e i 130.000 euro. Quelli che, se va bene, otterranno questa retribuzione solo per qualche anno e poi si ritroveranno in un mercato del lavoro che spesso li respingerà, perché non abbastanza scolarizzati, magari, o solo perché troppo vecchi per rimettersi in gioco fuori dal rettangolo verde.
E tanto vale per i fuorirosa. Avete visto anche voi come Marchetti, Pandev, Ledesma, Manfredini e molti altri siano stati estromessi dalle loro squadre per capricci di presidenti troppo avidi o semplicemente perché desiderosi di esercitare un loro diritto (prima di storcere il naso, pensate che se De Sanctis ci è costato così poco è anche per merito dell’articolo 17 che gli permise di andare, a prezzo di saldo, dall’Udinese al Siviglia). E questi sono solo i pezzi da 90: verso i giocatori più deboli e poveri, il mobbing sportivo è una costante, un’arma di ricatto che viene usata come grimaldello perché questi ragazzi accettino cessioni coatte- già, proprio come ai tempi dello svincolo, altro che sentenza Bosman-, spesso estremamente svantaggiose per loro stessi.

Per una volta questi ragazzi ricchi che nel nostro immaginario pensano solo alle sottane delle veline, hanno difeso i diritti dei loro colleghi più sfortunati. Quelli che nel calcio hanno investito e magari, per un dirigente cinico o un allenatore sbagliato, la loro grande occasione non l’hanno avuta. Condannati magari ad allenarsi nei gruppi organizzati proprio dall’AIC (già, proprio quei cattivoni che hanno indetto lo sciopero, guarda un po’!) per i senza contratto.
Nonostante questo, si trovano additati da chi strumentalizza la nostra passione. Da chi dal calcio guadagna sempre e comunque, in maniera vergognosa. Li trattiamo come se ci togliessero qualcosa: bene, al di là di ragioni e torti, loro sono professionisti che lavorano per privati. Non ci tolgono denaro né servizi essenziali (anche se per me il calcio è vita, lo confesso), anzi a dirla tutta la loro categoria versa allo Stato, in proporzione, più denaro di qualunque altra. Eppure noi li ricopriamo della nostra facile e bacchettona indignazione. Forse, semplicemente perché ci fa comodo guardare le dita di chi ci vuole indicare la direzione sbagliata, piuttosto che la verità. Perché la nostra invidia sociale per chi guadagna cifre che noi ci limiteremo a sognare per tutta la vita, l’odio tutto italiano per i vincenti, ci porta a prendercela con loro. Che se guadagnano tanto, diciamocelo, è perché se lo meritano: sono i loro colpi di tacco, i loro gol, persino le loro mattate a rendere l’industria calcistica così remunerativa. E come i divi del cinema o i cestisti dell’NBA, si prendono la fetta che gli riserva la società dello spettacolo. L’immoralità di questi stipendi, se c’è, è in chi glieli dà- avete mai visto Buffon o Totti, Eto’o o Ibrahimovic, puntare una pistola alla testa dei loro presidenti per ottenere un contratto?- non certo in chi li prende.
Quindi scioperate pure, calciatori. Avete ragione, anche se il mio cuore di tifoso piange. E, detto fra noi, la scoppola di Barcellona ci dice anche che al nostro Napoli due settimane in più di preparazione, forse, non faranno neanche male. Detto questo, ora cosa farò domenica pomeriggio?
Boris Sollazzo di Spazionapoli

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